Ordinanza ex art. 819-bis C.P.C. IL COLLEGIO ARBITRALE Composto da: prof. avv. Alberto Zito, Presidente prof. avv. Angelo Clarizia, Arbitro prof. avv. Angelo Tuzza, Arbitro costituito per la risoluzione della controversia insorta TRA Seriana 2000 Societa' Cooperativa Sociale Onlus, in persona del Presidente e legale rappresentante p.t. sig. Giancarlo Opizzi, rappresentato e difeso dall'Avv. Giuseppe Mazzini; E AUSL Roma E, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentato e difeso dall'Avv. Prof. Francesco Castiello in dipendenza della controversia insorta in ordine ai due contratti d'appalto del 27 marzo 2007, con i quali l'AUSL Roma E affidava a Seriana 2000 l'espletamento dei servizi di assistenza ai disabili adulti, ad integrazione del personale dipendente, necessari alla realizzazione di centri sperimentali di riabilitazione integrata a carattere semiresidenziale, a favore di utenti disabili e affetti da disabilita' stabilizzata a patologia complessa per soggetti residenti nel territorio della AUSL Roma E FATTO Nel corso dell'esecuzione dei contratti d'appalto tra Seriana 2000 Societa' Cooperativa Onlus e l'AUSL Roma E, sorgeva controversia tra le parti. La Seriana 2000, con atto del 13 maggio 2013, proponeva domanda di arbitrato, dichiarando di volersi avvalere della clausola arbitrale prevista dall'art. 37 del Capitolato d'Oneri per il lotto 1, di cui riportava nel predetto atto il contenuto: «La risoluzione di eventuali controversie che dovessero insorgere nell'applicazione della convenzione sara' demandata ad un collegio arbitrale composto da un rappresentante per ciascuna delle parti e da un rappresentante scelto di comune accordo». Nella domanda di arbitrato Seriana 2000 formulava i seguenti quesiti: «1) accertare e dichiarare il diritto di Seriana 2000 Soc. Coop. Sociale Onlus, per i titoli giuridici - compresi quelli legali, contrattuali ed extracontrattuali dedotti in premessa - al pagamento da parte di AUSL Roma E, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, in suo favore dell'importo di € 1.105.634,95, oltre ad interessi legali ovvero commerciali ex decreto legislativo n. 231/2002 qualora piu' favorevoli, a titolo di adeguamenti ISTAT e rinnovi del CCNL cooperative sociali incidenti sui prezzi determinati nei rapporti obbligatori di cui in premessa intercorsi tra la predetta e l'AUSL Roma E, ovvero a quel diverso importo e titolo che risulteranno dovuti, compresa la perdita di chance, e, conseguentemente; 2) condannare l'AUSL Roma E, in persona del suo legale rappresentante pro tempore, al pagamento a favore di Seriana 2000 Soc. Coop. Soc. Onlus dell'importo di € 1.105.634,95, oltre ad interessi legali ovvero commerciali ex decreto legislativo n. 231/2002 qualora piu' favorevoli, a titolo di adeguamenti ISTAT e rinnovi del CCNL cooperative sociali incidenti sui prezzi determinati nei rapporti obbligatori di cui in premessa intercorsi tra la predetta e l'AUSL Roma E, ovvero a quei diversi importi e per quei diversi titoli - compresi quelli legali, contrattuali ed extracontrattuali dedotti in premessa, compresa la perdita di chance - che risulteranno dovuti; 3) con vittoria di spese e compensi professionali oltre IVA e CPA come per legge». Nella domanda di arbitrato Seriana 2000 provvedeva a nominare quale arbitro il prof. avv. Daniele Senzani. L'AUSL Roma E, con Deliberazione del Direttore Generale dell'11 giugno 2013, prot. n. 293, nominava quale arbitro il prof. avv. Angelo Tuzza. Successivamente i due arbitri designavano, quale Presidente del Collegio Arbitrale, il prof. avv. Alberto Zito. Il difensore di Seriana, avv. Giuseppe Mazzini, in data 23 gennaio 2014 comunicava che con lettera A/R del 20 dicembre 2013, era intervenuta la revoca dell'arbitro Prof. Daniele Senzani. Nella stessa nota comunicava altresi' che, in data 14 gennaio 2014, il prof. avv. Angelo Clarizia era stato designato quale nuovo arbitro. In data 10 marzo 2014, pertanto si e' riunito il Collegio Arbitrale per la definizione della procedura arbitrale attivata da Seriana 2000. Nella stessa seduta il Collegio arbitrale ha ritenuto necessario acquisire motivata conferma dell'autorizzazione al ricorso all'arbitrato da parte dell'AUSL Roma E. Con nota del 18 marzo 2014, l'AUSL Roma E comunicava di non ritenere di aderire all'arbitrato nell'ottica del contenimento dei costi derivante da tale tipologia di contenzioso. Alla successiva udienza del 19 marzo 2014, veniva richiesta, da parte di Seriana 2000, la concessione di un termine per produrre memoria in relazione alla nota dell'AUSL Roma E. E' stato percio' concesso un termine alle parti al fine di produrre scritti difensivi. Con la presentazione della memoria nel termine assegnato, la parte attrice ha quindi insistito affinche' il giudizio proseguisse ugualmente, eccependo l'incostituzionalita' sotto molteplici profili dell'art. 241, comma 1, del decreto legislativo n. 163/2006, come modificato a seguito della legge 6 novembre 2012 n. 190 (c.d. legge anticorruzione). Vista la domanda di arbitrato; Viste le memorie difensive; Visti tutti gli atti di causa. Ricevuti ed esaminati gli scritti delle parti, il Collegio, nella Camera di Consiglio del 23 maggio 2014, dopo approfondita valutazione, ha deliberato la seguente ordinanza. Diritto 1. Il collegio ritiene rilevante e non manifestamente infondata la questione di costituzionalita' dell'art. 1, comma 19 e comma 25, della legge n. 190/2012. In proposito occorre ricordare in via preliminare che l'art. 241, comma 1, del decreto legislativo n. 163/2006, nella sua formulazione in vigore dal 28 novembre 2012 (ai sensi dell'art. 1, comma 19, della legge 6 novembre 2012 n. 190, c.d. legge anticorruzione), stabilisce che «Le controversie su diritti soggettivi, derivanti dall'esecuzione dei contratti pubblici relativi a lavori, servizi, forniture, concorsi di progettazione e di idee, comprese quelle conseguenti al mancato raggiungimento dell'accordo bonario previsto dall'articolo 240, possono essere deferite ad arbitri, previa autorizzazione motivata da parte dell'organo di governo dell'amministrazione. L'inclusione della clausola compromissoria, senza preventiva autorizzazione, nel bando o nell'avviso con cui e' indetta la gara ovvero, per le procedure senza bando, nell'invito, o il ricorso all'arbitrato, senza preventiva autorizzazione, sono nulli». L'art. 1, comma 25, della legge n. 190/2012 stabilisce, ai fini della disciplina transitoria, che «Le disposizioni di cui ai commi da 19 a 24 non si applicano agli arbitrati conferiti o autorizzati prima della data di entrata in vigore della presente legge». L'Arbitrato in esame e' stato «conferito» dopo l'entrata in vigore della legge n. 190/2012, atteso che gli arbitri sono stati nominati nel 2013 e che non e' intervenuta nessuna autorizzazione da parte della AUSL Roma E prima dell'entrata in vigore della predetta legge, ne' poteva ragionevolmente intervenire essendo tale istituto previsto dalla stessa legge n. 190/2012. Tuttavia tale conferimento e' avvenuto per effetto di una clausola arbitrale pattuita. Ebbene l'art. 1, comma 19 e 25 della legge n. 190/2012, determinando la confluenza dell'arbitrato de qua nel campo di applicazione della nuova disciplina e dunque rendendo inefficaci con effetto retroattivo pattuizioni assunte prima dell'entrata in vigore della legge stessa ovvero rimettendo alla parte pubblica il potere di decidere in ordine all'azionabilita' della clausola arbitrale, suscita dubbi di legittimita' costituzionale. La questione di costituzionalita' e' dunque rilevante assumendo rilievo pregiudiziale rispetto alla definizione nel merito della lite insorta tra le parti, in quanto riguarda l'ammissibilita' del ricorso all'arbitrato ed in ragione dell'intervenuto diniego all'attivazione del giudizio arbitrale da parte della AUSL Roma E. 2. Per effetto della disposizione di cui all'art. 1, comma 25, della legge n. 190/2012 l'obbligo di autorizzazione motivata all'arbitrato previsto dall'art. 241, comma 1, decreto legislativo n. 163/2006 trova applicazione anche in relazione a clausole compromissorie antecedenti all'entrata in vigore della richiamata legge n. 190/2012, come nel caso di specie (laddove la clausola compromissoria risulta prevista dal Capitolato d'Oneri sottoscritto nel 2007 e l'arbitrato conferito nel 2013). In tal modo pero' la normativa di cui sopra produce effetti retroattivi lesivi dei diritti e delle liberta' garantite dagli artt. 24, 41 e 108 Cost. e comunque dagli artt. 3, 25 e 111 Cost. Ai sensi della novellata disciplina, ed in particolare ai sensi dell'art. 1, comma 25, nell'ambito di una controversia si consente alla parte pubblica di porre nel nulla una clausola compromissoria per effetto di una disposizione sopravvenuta, che travolge l'efficacia e la vincolativita' di un patto spontaneamente stipulato tra le parti o a cui, comunque, la parte privata ha dato adesione. Il legislatore ha quindi disatteso il principio della certezza e stabilita' del diritto e dell'ordinamento giuridico, che impone di non introdurre disposizioni che operino retroattivamente su clausole contrattuali esistenti, ledendo principi e diritti di rango costituzionale (in particolare la liberta' di iniziativa economica e l'autonomia negoziale e di impresa ex art. 41 Cost). Il principio dell'irretroattivita' della legge non permette alla legge nuova di produrre effetti, oltre che sui rapporti giuridici esauriti prima della sua entrata in vigore, anche su quelli sorti anteriormente ed ancora in essere se, in tal modo, si rendono nulli o comunque inefficaci atti giuridici che gia' sono stati legittimamente adottati. Come costantemente affermato dalla Corte Costituzionale (ex multis Corte Cost. n. 229/1999), l'applicazione retroattiva della norma, che restringa diritti costituzionalmente tutelati, puo' essere giustificata solo in ipotesi eccezionali, in quei casi in cui sussistano interessi aventi parimenti rilevanza costituzionale ed a condizione che vi sia un'adeguata giustificazione sul piano della ragionevolezza (cfr. ex multis Corte Cost. n. 229/1999). Nel caso di specie non si riscontrano esigenze che possano ragionevolmente giustificare, nell'ottica del bilanciamento, la decisione del legislatore di privare di efficacia, in via retroattiva, le clausole compromissorie. Infatti, se da un lato la facolta' delle parti di stipulare un patto negoziale per adire il giudice arbitrale per le future controversie e' riconosciuta e tutelata dagli artt. 24, 41 e 108 Cost., dall'altro lato la decisione del legislatore di estendere l'obbligo di autorizzazione motivata all'arbitrato ai rapporti scaturiti da clausole compromissorie antecedenti alla legge n. 190/2012 non risulta giustificata da un contrapposto interesse di rilevanza costituzionale di pari peso. Ed invero, se in ragione dell'inserimento della norma contestata nella c.d. legge anticorruzione si deve intendere che la ratio legis si incentri nell'esigenza di prevenire la corruzione nella P.A., non puo' non sottolinearsi la perplessita' di tale impostazione soprattutto se rapportata all'attribuzione, in via retroattiva, di un diritto potestativo della Pubblica Amministrazione, in ordine alla procedibilita' o meno di' una azione giudiziaria. In definitiva, la subordinazione dell'arbitrato, attivato sulla base di una clausola compromissoria stipulata ante legge n. 190/2012, ad un meccanismo di autorizzazione rimesso alla parte pubblica non sembra pertinente rispetto alla finalita' di prevenire la corruzione (ne' d'altronde dai lavori preparatori della legge e' dato riscontrare alcuna giustificazione in tal senso), a meno di volere attribuire un disvalore sociale direttamente connesso dalla legge n. 190/2012 ad un istituto tutelato a livello comunitario e costituzionale, a mente degli artt. 24, 41, 108 e 111 Cost. Una tale assunzione in termini di disvalore non risulta peraltro costituzionalmente corretta proprio alla luce delle disposizioni teste' richiamate. In aggiunta si deve considerare come, nell'ambito della giustizia arbitrale sui contratti pubblici, la prevenzione della corruzione della P.A. sia una finalita' che riguarda appunto la Pubblica Amministrazione, la quale, nelle controversie arbitrali, non e' che una delle due parti del rapporto controverso. La prevenzione della corruzione della P.A. rappresenta quindi, anche a tutto voler concedere, un interesse della parte pubblica che in alcun modo puo' assurgere ad un interesse idoneo ad incidere, in via retroattiva e tramite riconoscimento di un diritto potestativo della P.A., sul principio di parita' delle parti ex art. 111 Cost. e sulla autonomia negoziale ex art. 41 Cost. 2.1. Il Collegio dubita che la norma di cui all'art. 1, comma 25, legge n. 190/2012 sia conforme agli artt. 3, 24, 25, 41 e 111 Cost. anche sotto altro profilo. Nello specifico la norma, nella misura in cui ricollega effetti giuridici sfavorevoli (in termini di condizioni piu' rigorose per l'accesso alla giustizia arbitrale, subordinate all'esercizio di un diritto potestativo della. P.A., sub specie di autorizzazione motivata) a clausole compromissorie stipulate e/o accettate nel periodo antecedente all'entrata in vigore della legge anticorruzione, lede l'affidamento di quanti abbiano volontariamente e consapevolmente stipulato le suddette clausole contrattuali, senza poter prevedere che sarebbero scaturite conseguenze negative sul piano dell'accesso alla giustizia, con cio' affievolendo irragionevolmente la certezza nella stabilita' del diritto e dell'ordinamento giuridico. Infatti in detti casi il giudice naturale ex art. 25 Cost. risulta gia' individuato, seppur in via negoziale, con la clausola compromissoria, per effetto dell'esercizio dell'autonomia privata delle parti ex art. 41 Cost. In siffatto contesto l'applicazione in via retroattiva della norma sull'autorizzazione all'arbitrato, in relazione a clausole arbitrali gia' previste (e quindi con un giudice «naturale» gia' individuato,) pone un'ulteriore limitazione all'esercizio del diritto, distogliendo quindi le parti dal giudice precostituito in via negoziale e/o rendendo comunque piu' difficoltoso l'accesso alla giurisdizione arbitrale, in violazione degli artt. 24, 25 e 111 Cost. 2.2. A sua volta l'art. 241, comma 1, decreto legislativo n. 163/2006, come modificato dall'art. 1 comma 19, legge n. 190/2012 risulta in contrasto con gli artt. 3, 24, 25, 41, 102, 111 Cost. sotto ulteriori profili. 2.2.1. La norma censurata appare infatti di dubbia costituzionalita' in quanto determina un assetto in contrasto con gli artt. 3 e 111 della Cost., nella parte in cui sanciscono i principi di parita' delle parti nel processo. La disciplina dell'autorizzazione all'arbitrato ha determinato un sistema che, anziche' garantire la parita' delle armi e l'indipendenza degli arbitri, riconosce un privilegio processuale per la Pubblica Amministrazione, che assume un vero e proprio diritto potestativo in merito alla instaurazione o meno del giudizio arbitrale. In questo modo all'arbitrato in materia di contratti pubblici viene dato un assetto tendente a favorire solo una parte della controversia, realizzando uno sbilanciamento a favore della parte pubblica, in senso analogo a quello sbilanciamento gia' censurato dalla Consulta nella sentenza n. 186/2013 (con la quale e' stata dichiarata l'illegittimita' costituzionale dell'art. 1, comma 51, della legge 13 dicembre 2010, n. 220). D'altronde, come sottolineato dalla Consulta nella sentenza n. 376 del 2001, l'arbitrato costituisce un procedimento assoggettato alle garanzie di contraddittorio e di imparzialita' tipiche della giurisdizione civile ordinaria, ed e' proprio sulla base di tale principio che e' stato riconosciuto ai collegi arbitrali il potere di sollevare le questioni di costituzionalita'. Ne' d'altronde possono porsi dubbi sulla natura giurisdizionale dell'arbitrato, considerata la giurisprudenza della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione (cfr. di recente anche Cass. SS.UU. n. 24153/2013). Riconoscere ad una sola delle parti il potere di autorizzazione postuma all'arbitrato significa quindi attribuire ad una delle parti del contenzioso, come gia' evidenziato, un diritto potestativo in ordine all'accesso alla giustizia, con contemporaneo degradamento in posizione di soggezione dell'altra parte del rapporto, in violazione dell'art. 3 Cost., nonche' dell'art. 111 Cost. Con l'ulteriore conseguenza che la disciplina in esame viene a prefigurare una situazione di «asimmetria giurisdizionale» che non ha precedenti nell'ordinamento e che contrasta con i gia' citati parametri costituzionali. 2.2.2 Il Collegio rileva inoltre il contrasto con l'art. 3 della Costituzione anche in ragione dell'ingiustificata disparita' di trattamento rispetto alla disciplina degli arbitrati risultante dal codice di procedura civile. Non sembra infatti potersi enucleare alcuna differenza sostanziale tra gli arbitrati in materia di contratti pubblici e gli arbitrati regolati dal c.p.c.; anche relativi a contratti d'appalto c.d. privati; sicche' la scelta del legislatore di differenziare nettamente la rispettiva disciplina, prevedendo una condizione d'accesso all'arbitrato, peraltro rimessa alla decisione di una sola delle parti del contratto pubblico, e' di per se' ingiustificata e irrazionale. Da un lato infatti non si riscontrano nella legge c.d. anticorruzione ragioni per giustificare la disparita' di trattamento tra gli arbitrati nelle controversie regolate dall'art. 241, decreto legislativo n. 163/2006, rispetto agli arbitrati ordinari, considerata l'equiparazione dei giudizi arbitrali in materia di opere pubbliche ai giudizi civili (cfr. ex multis Corte Cost. 376/2001; Corte Cost. 223/2013), l'identita' dei poteri esercitabili e le sanzioni tipiche previste dall'ordinamento per combattere la corruzione. Nel contempo e' pacifico che nessuna norma puo' introdurre diversificati regimi di accesso alla giurisdizione, a meno che la disparita' di trattamento sia giustificata dall'esigenza di tutelare altri principi costituzionali di pari grado. Ma nella norma in esame non si riscontra alcun principio costituzionale da tutelare, come gia' evidenziato, con la conseguenza che la disciplina introdotta, laddove subordina il ricorso all'arbitrato all'autorizzazione motivata degli organi di governo della P.A., non puo' giustificare ne' la limitazione dei privati all'accesso alla giustizia secondo modalita' determinate da clausole negoziali precedentemente e consapevolmente stipulate da ambo le parti, ne' tantomeno la frustrazione di altri principi costituzionalmente tutelati, quali quelli previsti dagli artt. 24 e 111 Cost. Di conseguenza la norma de qua, nel regolare in termini radicalmente divergenti situazioni di accesso alla giustizia nel settore dei contratti pubblici rispetto agli altri settori dell'ordinamento, determina una evidente disparita' di trattamento che si pone in aperto contrasto con l'art. 3 Cost. D'altro canto tale disparita' di trattamento e' immediatamente percepibile anche riguardo alla differenza tra la disciplina speciale in materia di contratti pubblici e la disciplina ordinaria sull'accesso alla giustizia arbitrale. Mentre nella disciplina prevista dal c.p.c. l'eventuale rifiuto di una delle parti di aderire all'arbitrato (in violazione di una specifica clausola compromissoria) non determina la nullita' del lodo ex art. 829 c.p.c. (anzi, un'eventuale rifiuto od anche il mero silenzio consente all'altra parte di ricorrere al Tribunale civile per la nomina dell'arbitro di parte), negli arbitrati di cui all'art. 241 del Codice dei Contratti il rifiuto o la mancata autorizzazione della parte pubblica all'arbitrato comporta, per cio' solo, la nullita' insanabile del lodo eventualmente pronunciato. Nel contempo lo stesso art. 241, comma 1, prevede che la P.A. debba autorizzare l'arbitrato con apposita motivazione. In tal modo l'accesso alla giustizia arbitrale, oltre ad essere assoggettato alla potesta' di una delle parti, e' altresi' connotato da ampi spazi di discrezionalita' della parte contrattuale pubblica, che puo' rifiutare l'arbitrato senza motivazione e puo' autorizzarlo solo con apposita motivazione. Una simile facolta', nel contesto dell'apparato sanzionatorio previsto dall'art. 241 del Codice dei Contratti, potrebbe condurre alla nullita' del lodo anche in ragione della opinabilita' della motivazione all'autorizzazione (od anche in ragione dell'eventuale incompetenza dell'organo che rilascia l'autorizzazione) con ulteriore incisione degli artt. 3 e 111 Cost. 3. In subordine alle suesposte questioni di costituzionalita', il Collegio dubita della conformita' dell'art. 1, comma 19, della legge n. 190/2012 all'art. 97 della Costituzione. La norma radica in capo all'organo di governo dell'amministrazione la competenza ad autorizzare motivatamente il deferimento ad arbitri delle controversie di cui al primo periodo dell'art. 1, comma 19, con cio' violando il principio di imparzialita' sancito dall'art. 97 Cost., di cui e' corollario la separazione tra politica ed amministrazione. La decisione in merito alla soluzione di una disputa - legata ad un singolo rapporto contrattuale - attraverso il ricorso (o meno) alla giustizia arbitrale e' invero paradigmatica espressione di discrezionalita' tecnica, appannaggio della dirigenza preposta imparzialmente alla gestione, non gia' atto di indirizzo politico-amministrativo riservato all'organo di governo. Non e' infatti ravvisabile nell'autorizzazione motivata a deferire la singola lite ad arbitri alcun profilo di programmazione o valutazioni di indirizzo politico che, se presenti, andrebbero correttamente riferite alla totalita' delle liti insorgenti dai rapporti contrattuali dell'amministrazione e non certo di volta in volta ponderate in relazione allo specifico contratto cui accede la clausola compromissoria da autorizzare, con simmetrico rischio di valutazioni di natura politica non esenti da contaminazioni che la stessa norma anticorruzione si prefigge di prevenire e contrastare. In altri termini, e' proprio la scelta del caso concreto, cui l'organo di governo e' chiamato, a connotare come atto di gestione - riservato alla dirigenza - l'autorizzazione prevista dalla norma sospettata di incostituzionalita', dove l'atto di indirizzo e programmazione - riservato viceversa all'organo di governo -presupporrebbe l'individuazione di obiettivi e programmi al cui perseguimento deve essere rivolta l'attivita' amministrativa dell'ente. In definitiva, l'attribuzione all'organo di governo del potere di adottare l'atto autorizzatorio, siccome atto di gestione, contrasta con la necessita' della netta e chiara separazione tra attivita' di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie, condizione necessaria per garantire il rispetto dei principi di buon andamento e di imparzialita' dell'azione amministrativa recati dall'art. 97 Costituzione, con conseguente sospetto di incostituzionalita' della norma de qua. 4. In conclusione, ricorrono i presupposti considerati dall'art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87, per la rimessione delle questioni di legittimita' costituzionale sopra descritte, e segnatamente la rilevanza e l'impossibilita' di definire il giudizio indipendentemente dalla soluzione delle questioni e la non manifesta infondatezza delle stesse.